"Issipile" di Pietro Metastasio, Atto 3
Dramma per Musica di Antonio Bioni, esposta in Breslavia nel 1732. Libretto: Pietro Metastasio
La Associazione Ars-Augusta e.V. in collaborazione con il Teatro di Stettin, porterà in scena per la prima volta in tempi moderni un´opera di Antonio Bioni, e in particolar modo un´opera scritta per il Teatro di Breslavia nell´anno 1732. E l´opera "Issipile". Il manoscritto si trova nell´Archivio della Società Amici della Musica in Vienna e verrà editato dalla nostra Associazione nei prossimi mesi. Il seguente Libretto serve per lo studio dell´opera.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
LEARCO con due pirati suoi seguaci e poi TOANTE
LEARCO
Ogni nostra speranza
fu vana amici. Alle più belle imprese
la fortuna s'oppone. Andate e sia
ciascun pronto a partir. Ma veggo... O parmi?
Sì Toante s'appressa. E solo ei viene (Partono i pirati)
per queste vie romite.
Facciam l'ultima prova. Amici. Udite. (Tornano i pirati. a’ quali tratti in disparte Learco parla in voce sommessa)
TOANTE
Nelle tessale tende
restar dovrei; ma voi nol tolerate
affetti impazienti.
LEARCO
(Udiste? Andate). (a’ pirati che partono)
TOANTE
Sollecito dubbioso
palpito, non ho pace, ogni momento
qualche nuncio funesto
temo ascoltar. Per questa
più solitaria parte
alla regia n'andrò. (In atto di partire)
LEARCO
(Learco all'arte).
Signor, soffri al tuo piede (Se gl’inginochia innanzi)
il vassallo più reo.
TOANTE
Tu vivi! Oh numi!
Sei Learco o nol sei?
LEARCO
Learco io sono.
TOANTE
Che pretendi da me?
LEARCO
Morte o perdono.
TOANTE
Traditor non offrirti
al mio sguardo mai più. (In atto di partire)
LEARCO
Sentimi e poi (S’alza e lo siegue)
discacciami se vuoi.
TOANTE
Non sai qual pena,
perfido, a te si serba in questo lido?
LEARCO
La morte io meritai
signor, quando tentai
Issipile rapir. Ma se non trova
pietà nel mio regnante
un giovanile errore
che persuase amore,
che il rimorso punì, si mora almeno
nel paterno terreno. Un lustro intero,
sempre in clima straniero,
ramingo, pellegrino,
scherzo di reo destino,
vivo in odio alle stelle, in odio al mondo.
E quel che più m'affanna,
vivo in odio al mio re. Grave a me stesso
la stanchezza mi rende
e il tedio di soffrir. De' mali miei
il più grande è la vita; e chi dal seno
lo spirto mi divide
è pietoso con me, quando m'uccide.
TOANTE
(Quel disperato affanno
scema l'orror della sua colpa antica).
LEARCO
(Quanto tarda a venir la schiera amica!) (Impaziente verso la scena)
TOANTE
Da' tuoi disastri impara
a rispettar, Learco,
in avvenir la maestà del trono.
Riconsolati e vivi. Io ti perdono. (In atto di partire)
LEARCO
Ah signor tu mi lasci
dubbioso ancor, se un più sicuro pegno
non ho di tua pietà.
TOANTE
Dopo il perdono,
che di più posso darti?
LEARCO
La tua destra real.
TOANTE
Prendila e parti.
LEARCO
O de' numi clementi (Va allungando queste parole rivoltandosi impaziente che i compagni giungano)
pietoso imitator. Questo momento
di tutti mi ristora
gli affanni che passai. (Né giunge ancora!)
E dubbioso e tremante
eccomi alle tue piante... E in umil atto... (Mentre vuole inginocchiarsi e prender la mano al re, escono i corsari armati che racchiudono nel mezzo Toante)
TOANTE
Qual gente ne circonda!
LEARCO
Il colpo è fatto. (Lascia la mano, sorge ed abbandona l’affettata umiltà da lui finta finora)
Cedimi quella spada. (A Toante)
TOANTE
A chi ragioni?
LEARCO
Parlo con te.
TOANTE
Meco favelli? Oh dei!
Come...
LEARCO
Non più. Mio prigionier tu sei.
TOANTE
Qual nera frode?
LEARCO
Alfine
cadesti ne' miei lacci. Arbitro io sono
de' giorni tuoi. Soffrilo in pace. Il mondo
varia così le sue vicende e sempre
all'evento felice il reo succede.
Or tocca a te di domandar mercede.
TOANTE
Scelerato.
LEARCO
Toante,
cambia linguaggio. Un grand'essempio avesti
di prudenza da me. Supplice, umile
parlai finora. È l'adattarsi al tempo
necessaria virtù. Pendon quell'armi
dal mio cenno; e poss'io...
TOANTE
Che puoi tu farmi?
Puoi togliermi l'avvanzo
d'una vita cadente
che mi rese molesta
degli anni il peso e degli affanni miei.
LEARCO
Anch'io dissi così; ma nol credei.
TOANTE
V'è però gran distanza
dal mio core al tuo cor.
LEARCO
Fole son queste.
Ogni animal che vive
ama di conservarsi. Arte, che inganna
solo il credulo volgo, è la fermezza
che affettano gli eroi ne' casi estremi.
Io ti leggo nell'alma e so che tremi.
TOANTE
Tremerei se credessi
d'esser simile a te. Che avrei sugli occhi
l'orror di mille colpe. E mi parrebbe
sempre ascoltar che mi stridesse intorno
il fulmine di Giove,
punitor de' malvaggi.
LEARCO
A questo segno
non è l'ira celeste
terribile per me.
TOANTE
Fole son queste.
Tranquillo esser non puoi.
So che nasce con noi
l'amor della virtù. Quando non basta
ad evitar le colpe,
basta almeno a punirle. È un don del cielo
che diventa castigo
per chi n'abusa. Il più crudel tormento
ch'hanno i malvaggi è il conservar nel core,
ancora a lor dispetto,
l'idea del giusto e dell'onesto i semi.
Io ti leggo nell'alma. Io so che tremi.
LEARCO
Questo de' cori umani
saggio conoscitor traete amici
prigioniero alle navi. E tu deponi
quell'inutile acciaro. (A Toante)
TOANTE
Prendilo traditor. (Getta la spada)
LEARCO
Dovresti ormai
quest'orgoglio real porre in oblio.
Toante è il vinto. Il vincitor son io.
TOANTE
Guardami prima in volto
anima vile e poi
giudica pur di noi
il vincitor qual è.
Tu libero e disciolto
sei di pallor dipinto;
io di catene avvinto
sento pietà di te. (Parte fra i pirati)
SCENA II
LEARCO e poi RODOPE
LEARCO
E pur quel regio aspetto,
quel parlar generoso... Eh non si pensi
che al piacer d'un acquisto
che può farmi felice.
RODOPE
Oh dio Learco. (Spaventata)
LEARCO
Qual è del tuo spavento
Rodope la cagion?
RODOPE
Quindi non lunge
stuol di gente straniera al mar conduce
Toante prigioniero. Ah se ti resta
qualche scintilla in seno
di virtù, di valore, ecco il momento
di farne pruova. Ogni delitto antico
puoi cancellar, se vuoi. Puoi del tuo nome
la memoria eternar.
LEARCO
Gran sorte! E come?
RODOPE
Va', combatti; procura
di liberar Toante. Offri la vita
a pro del tuo monarca. O vinci o mori.
Emendi un atto grande
ogni fallo passato;
e mi tolga il rossor d'averti amato.
LEARCO
Generoso è il consiglio. E per mercede
merita un disinganno. È mio comando
di Toante l'arresto. Alla superba
Issipile ne reca
la novella se vuoi. Dille che meno
i deboli nemici
s'avvezzi a disprezzar. Basta sì poco
per nuocere ad altrui che in umil sorte,
che oppresso ancora ogni nemico è forte.
Dille che in me paventi
un disperato amor;
dille che si rammenti
quanto mi disprezzò.
E se per queste offese
mi chiama traditor,
dille che tal mi rese,
quando m'innamorò. (Parte)
SCENA III
RODOPE e poi ISSIPILE
RODOPE
E tanta si ritrova
malvaggità fra noi? Misera figlia!
Principessa infelice! A tal novella
qual diverrai!
ISSIPILE
Son terminati amica
tutti gli affanni nostri. È stanco il cielo
di tormentarne più. Vinse di Lenno
le fiere abitatrici
il mio sposo fedel. Palese a lui
è l'innocenza mia. Sicuro il padre,
noi vincitrici, ogni discordia tace,
tutto è amor, tutto è fede e tutto è pace.
RODOPE
Ma Toante però...
ISSIPILE
Toante aspetta
nelle tessale tende
di Giasone il ritorno.
RODOPE
Ah fosse vero.
ISSIPILE
Perché? Parla.
RODOPE
Toante è prigioniero.
ISSIPILE
E di chi?
RODOPE
Di Learco.
ISSIPILE
Onde il sapesti?
RODOPE
Fra' seguaci dell'empio
avvinto l'incontrai.
ISSIPILE
Ma quali sono
di Learco i seguaci?
RODOPE
Gente simile a lui.
ISSIPILE
Numi del cielo
a che mai di funesto
mi volete serbar? Che giorno è questo?
SCENA IV
GIASONE con argonauti e dette
GIASONE
Issipile, mio ben, qual nuovo affanno
oscura i lumi tuoi?
ISSIPILE
Sposo adorato
opportuno giungesti. Ah puoi tu solo
consolarmi se vuoi. Corri... Difendi...
Abbi pietà di me.
GIASONE
Spiegati. Ancora
intenderti non so.
ISSIPILE
Toante... Il padre...
Learco... Ah mi confondo.
RODOPE
Al mar conduce
il traditor Learco
incatenato il re.
GIASONE
L'istesso è forse...
ISSIPILE
Sì quel Learco istesso
che te dal sonno oppresso
svenar tentò. Ma trattenuto, almeno
funestar co' sospetti
volle la nostra pace.
GIASONE
Anima rea!
ISSIPILE
Principe generoso, ecco un'impresa
degna di te. Tu conservar mi puoi
il caro genitor. Perdi la sposa
se lui non salvi. È ad un sol filo unita
la vita di Toante e la mia vita.
GIASONE
Lasciami il peso, o cara,
di punire il fellon. Ma tu rasciuga
le lagrime dolenti. Al mio coraggio
è troppo gran periglio
il vederti di pianto umido il ciglio.
Care luci che regnate
sugli affetti del mio cor,
non piangete, se volete
ch'io conservi il mio valor.
Tal pietà se in me destate
con quel tenero dolor,
non m'avvanza più costanza
per vestirmi di rigor.
SCENA V
RODOPE, ISSIPILE
RODOPE
Ma troppo o principessa
t'abbandoni al dolor. Sempre la sorte
non ti sarà severa.
Di Giasone al valor fidati e spera.
ISSIPILE
Ch'io speri? Ma come,
se nacqui alle pene,
se un'ombra di bene
non vidi finor?
Ognor doppio affanno
mi trovo nel petto.
V'è quello che provo,
v'è l'altro che aspetto;
e al pari del danno
m'affligge il timor. (Parte)
SCENA VI
RODOPE ed EURINOME
RODOPE
Io mi perdo in sì grande
numero di sventure.
EURINOME
Il figlio mio,
Rodope, dove andò?
RODOPE
Pensa inumana,
pensa a te stessa. Al vincitor t'ascondi,
se t'è cara la vita.
EURINOME
Io non la curo,
se non trovo Learco.
RODOPE
Un nome oblia
ch'odio è del mondo e tua vergogna e mia.
EURINOME
Tanto sdegno perché? Tu lo salvasti...
RODOPE
E ne sento dolor.
EURINOME
Spero che sia
simulata quest'ira. Un'altra volta
dicesti ancor che lo bramavi oppresso;
e l'adoravi allor.
RODOPE
Ma l'odio adesso.
Odia la pastorella
quanto bramò la rosa,
perché vicino a quella
la serpe ritrovò.
Né il vol mai più raccoglie
l'augel tra quelle foglie
dove invischiò le piume
e appena si salvò. (Parte)
SCENA VII
EURINOME sola
EURINOME
Ah che cercando il figlio
me stessa perderò. Ma che mi giova
senza lui questa vita? È reo Learco,
lo so, ma l'amo; ed i delitti suoi
m'involano il riposo
ma non l'amor. Più cresce l'odio altrui,
più mi sento per lui
tutto il sangue gelar di vena in vena.
Giusti dei l'esser madre è premio o pena?
È maggiore d'ogn'altro dolore
quell'affetto che insana mi rende;
né l'intende chi madre non è.
Il periglio d'un misero figlio
ho sì vivo nell'anima impresso
che per esso mi scordo di me. (Parte)
SCENA VIII
Lido del mare con navi di Learco e ponte per cui si ascende ad una di esse. Da un lato rovine del tempio di Venere, dall’altro d’un antico porto di Lenno.
GIASONE, ISSIPILE, RODOPE con seguito d’argonauti. E poi LEARCO e TOANTE su la nave
GIASONE
Issipile respira;
giungemmo il traditor. Compagni in quelli
insidiosi legni
secondate i miei passi. Io chiedo a voi
furore e crudeltà. S'ardan le vele,
si sommergan le navi. Orrida sia
a tal segno la strage
che appaia a l'altrui ciglio
di quel perfido sangue il mar vermiglio. (Learco comparisce sulla poppa della nave, tenendo con la sinistra per un braccio l’incatenato Toante, ed impugnando uno stile nella destra sollevata in atto di ferirlo)
LEARCO
Sì ma quel di Toante
si cominci a versar.
ISSIPILE
Fermati.
RODOPE
Indegno.
GIASONE
Qual furor ti trasporta?
ISSIPILE
Padre... Sposo... Learco... Oh dei... Son morta.
LEARCO
Issipile che giova
l'affliggersi così? Della sua vita
arbitra sei. Su questa nave ascendi
sposa a Learco. Il mio costante amore
premi la figlia; e il genitor non muore.
ISSIPILE
Che ascolto, o sposo!
GIASONE
E proferire ardisci
il patto scelerato, anima rea?
Ah raffrenar non posso
il mio giusto furor. (In atto di snudar la spada)
ISSIPILE
Pietà Giasone. (Trattenendolo)
L'empio trafigge il padre,
se tenti d'assalirlo.
GIASONE
Ah ch'io mi sento
tutte le furie in sen.
LEARCO
Vedi o Toante
quella tenera figlia
come corre a salvarti? I suoi disprezzi
paghi il tuo sangue. Ho tolerato assai. (In atto di ferire)
ISSIPILE
Eccomi; non ferir. (S’affretta verso la nave)
TOANTE
Figlia che fai?
Potesti a questo segno (Issipile si ferma)
scordarti di te stessa? Ah non credea
che Issipile dovesse
farmi arrossir. D'un talamo reale
all'onor, non al letto
d'un infame pirata io t'educai.
E divenir tu vuoi
madre di scelerati e non d'eroi.
ISSIPILE
Dunque un'altra m'addita
miglior via di salvarti.
TOANTE
Eccola. Intatto
custodisci l'onor del sangue mio.
Non pensar che d'un padre
già ti costi la vita. O te ne renda
più gelosa custode un tal pensiero.
Col tuo sposo fedele
vivi e regna per me. Se a voi s'accresce
la vita che m'avvanza,
abbastanza regnai, vissi abbastanza.
RODOPE
O forte!
GIASONE
O generoso!
ISSIPILE
E non ti muove
tanta virtù Learco?
LEARCO
Anzi m'irrita.
ISSIPILE
Dunque?
LEARCO
Vieni o l'uccido.
ISSIPILE
Ah questo pianto
ti faccia impietosir. Del mio rifiuto
ti vendicasti assai. Basta Learco,
basta così. Non sei contento ancora?
Vuoi vedermi al tuo piede
miserabile oggetto in questo lido?
Eccomi a' piedi tuoi. (S’inginocchia)
LEARCO
Vieni o l'uccido.
ISSIPILE
Sì. Verrò traditor. Verrò. Ma quanto
d'orribile ha l'inferno (S’alza furiosa)
meco verrà. Delle abborrite nozze
fia pronuba Megera, auspice Aletto.
Io delle furie tutte,
io sarò la peggior. Verrò, ma solo
per strapparti dal seno,
mostro di crudeltà, quel core infido.
Scelerato verrò.
LEARCO
Vieni; o l'uccido. (Con sdegno in atto di ferire)
ISSIPILE
Eccomi non ferir. (A Learco)
Numi pietà non v'è?
Ricordati di me. (A Giasone)
Morir mi sento.
Ha ben di sasso il cor
chi senza lagrimar
ha forza di mirar
questo tormento. (Issipile piangendo s’incamina lentamente alla nave e va rivolgendosi a riguardar con tenerezza Giasone)
GIASONE
Sposa. Così mi lasci? Empio. Vorrei...
Fremo... Non ho consiglio...
Barbari dei... (Mentre Giasone va smaniando per la scena esce frettolosa Eurinome)
SCENA IX
EURINOME e dette
EURINOME
Pur ti ritrovo o figlio.
LEARCO
Salvati, o madre.
GIASONE
Ah scelerata a caso (Trattiene Eurinome)
qui non giungesti. Issipile t'arresta.
Guardami traditor. Libero appieno
rendi Toante o la tua madre io sveno. (Issipile si ferma a mezzo il ponte e Giasone impugnando uno stile minaccia di ferire Eurinome)
LEARCO
Come!
EURINOME
Che fu?
RODOPE
Qual cangiamento!
LEARCO
In lei
non punire i miei falli. Il tuo nemico
son io, Giasone.
GIASONE
Il mio furor non lascia
luogo a consiglio. È mio nemico ognuno
che te non abborrisce. È rea costei
di mille colpe E se d'ogn'altra ancora
fosse innocente, io non avrei rossore
d'averle ingiustamente il sen trafitto.
L'esser madre a Learco è un gran delitto.
RODOPE
Confuso è l'empio.
ISSIPILE
Eterni dei prestate
adesso il vostro aiuto.
GIASONE
Barbaro non risolvi?
LEARCO
Ho risoluto.
Svenela pur. Ma venga
e la legge primiera
Issipile compisca.
RODOPE
Oh mostro!
ISSIPILE
Oh fiera!
GIASONE
A voi dunque, o d'Averno
arbitre deità, questo offerisco
orrido sacrificio.
LEARCO
(Io tremo).
GIASONE
A voi
di vendicar nel figlio
della madre lo scempio il peso resti.
Mori infelice. (Mostra ferirla)
LEARCO
Ah non ferir. Vincesti.
RODOPE
E pur s'intenerì.
EURINOME
Deggio la vita
caro Learco a te.
LEARCO
Poco il tuo figlio
Eurinome conosci. È debolezza
quella pietà che ammiri,
non è virtù. Vorrei poter l'aspetto
sostener del tuo scempio
e mi manca valore. Ad onta mia
tremo, palpito e tutto
agghiacciar nelle vene il sangue io sento.
Ah vilissimo cor, né giusto sei
né malvaggio abbastanza. E questa sola
dubbiezza tua la mia rovina affretta.
Incominci da te la mia vendetta. (Si ferisce)
EURINOME
Ferma. Che fai.
LEARCO
Non spero
e non voglio perdono. Il morir mio
sia simile alla vita. (Si getta in mare)
EURINOME
Io manco. Oh dio. (Sviene ed è condotta dentro)
RODOPE
Oh giustissimo ciel!
GIASONE
Correte amici
a disciogliere il re. (Gli argonauti corrono su la nave)
ISSIPILE
Sposo io non posso
rassicurarmi ancor.
RODOPE
Quante vicende
un sol giorno adunò!
TOANTE
Principe, figlia. (Scendendo dalla nave)
ISSIPILE
Padre.
GIASONE
Signor.
ISSIPILE
Questa paterna mano
torno pure a baciar. (Bacia la mano a Toante)
TOANTE
Posso al mio seno
stringervi ancora. (Gli abbraccia)
RODOPE
I tolerati affanni
l'allegrezza compensi
d'un felice imeneo.
TOANTE
Ma pria nel tempio
rendiam grazie agli dei. Che troppo o figli
è perigliosa e vana,
se da lor non comincia ogn'opra umana.
CORO
È follia d'un'alma stolta
nella colpa aver speranza.
Fortunata è ben talvolta
ma tranquilla mai non fu.
Nella sorte più serena
di sé stesso il vizio è pena,
come premio è di sé stessa
benché oppressa la virtù.
Ballo di pirati ed amazzoni prigioniere e di argonauti vincitori.
FINE DEL DRAMA